Perché ricordare?
Perché è giusto ricordare dopo 229 anni il 14 luglio, pur senza essere francesi?
Il 14 luglio, grande festa nazionale in Francia. Una ricorrenza che sento molto vicina e che da italiano, per vari aspetti, invidio al popolo francese. Forse sarà perché mio padre trascorse felicemente gli anni della sua infanzia e della sua adolescenza ( dal 1923 al 1937 ) a Nerac, cittadina dove nacque Enrico IV, nella Lot e Garonne, regione di grandi vini e del noto Armagnac, le cui dolci colline si susseguono tra Tolosa e Bordeaux e che dalle Landes arrivano sino alle spiagge di Biarritz. Sentirlo cantare la Marsigliese era per me sempre una forte emozione.
Avvicinarmi ai valori universali della Rivoluzione francese è stato per me fin da giovane un fatto pressoché naturale.
Sono passati 229 anni da quel lontano 14 luglio 1789, che sappiamo essere stato e esser rimasto un giorno memorabile, pur se di un’epoca non tutta luminosa e fausta. Non dobbiamo dimenticare, infatti, i terribili Anni del Terrore giacobino che seguirono alla presa della Bastiglia.
Ma quel rivoluzionario “…Liberté, Egalité e Fraternité…” è divenuto un grido che porta in sé un significato ancora molto attuale e dalla forza dirompente.
Che sia così, in quest’inizio di terzo millennio, ce lo dice la situazione in cui vive l’umanità intera. Sull’onda della sua “ liquida globalità “, per dirla con le geniali parole di Zygmunt Bauman, l’essere umano è innanzi a nuovi problemi planetari, così come, comunque, anche a continue innovative opportunità.
Pensiamo alle giornaliere immagini dei Mondiali di calcio, dove atleti di varie Nazioni dell’Africa, ci hanno mostrato le loro capacità, il loro entusiasmo e i loro conseguenti meriti. Cosa inimmaginabile fino a poco tempo fa. Pochi anni fa è toccato a quello straordinario Paese che è il Brasile organizzare epocali eventi sportivi. E poi pensiamo all’Expo di Shanghai prima e a quello di Milano poi, per capire come la forza della libertà, della libera iniziativa economica, unita al sempre più diffuso diritto all’istruzione, possono indirizzare e far giungere ad un minimo benessere miliardi di persone appartenenti al Nuovo Mondo.
Per contro il Mar Mediterraneo, da sempre navigato liberamente in lungo e in largo e da millenni culla di molte civiltà, oggi è diventato tomba eterna per migliaia di persone, tra cui molti giovani in cerca disperata di una nuova vita.
Pertanto, al tentativo di portare l’umanità ad un benessere sempre più diffuso e equo, si contrappone la tragica fuga dalla guerra e dalla miseria di altri milioni di persone.
L’impegno della politica verso l’affermazione sempre più forte dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, qualsiasi siano il loro pensiero, la loro fede e il colore della loro pelle, deve essere continuo, anche innanzi a nuovi ostacoli e a nuove contrarietà.
Dovrebbero tornare decisivi il ruolo e la forza delle Nazioni Unite e in particolare, aggiungo, della nostra seppur malandata Europa, con la sua storia, con la sua cultura, con i suoi valori fondanti di unità, di solidarietà e di umanità.
Ciò dovrebbe alimentare e far crescere in noi il vero sentimento della fraternità. Per dirla con il titolo di un libro di pochi anni fa di Jeremy Rifkin, il tutto ci dovrebbe far capire che è giunto il tempo per “una civiltà dell’empatia” .
Di libertà, uguaglianza e fraternità ne ha bisogno anche la nostra Italia, la quale, oggi più che mai, necessita di uomini e di donne “veri, autentici e liberi”. Sono sagge in tal senso le parole del prof. Vito Mancuso. Un‘Italia che è chiamata anche a riconoscere e a salvaguardare ogni giorno diritti e doveri vecchi e nuovi, facendo tesoro della lezione di un rigoroso maestro di laicità quale fu il prof. Norberto Bobbio. Quella laicità, che non è certo sinonimo di ateismo, ma sano inderogabile rispetto di ogni essere umano.
Infine, di libertà, uguaglianza e fraternità mi appare bello, proficuo e necessario parlarne da roveretano, ovvero da cittadino di una comunità che ha dato i natali a Girolamo Tartarotti e che ha conosciuto con lui il sogno culturalmente innovativo del primo illuminismo italiano. A cui si affianca il tesoro del ricco e “rivoluzionario” patrimonio costituito dal pensiero di Antonio Rosmini. Quel sacerdote che ci ricorda sempre che “non c’è l’uomo e il diritto, ma l’uomo è il diritto”. Ovvero una città, riconosciuta tale poco più di 500 anni fa, era il novembre 1510, dall’Imperatore Massimiliano I. Città che ha sì vissuto tempi bui e difficili, ma che da questi ha saputo uscire con diligenza, coraggio e orgoglio. E che oggi sa e vuole accogliere, offrendo nuovo benessere e nuova speranza ai suoi cittadini, vecchi e nuovi.
In conclusione, più di due secoli di storia non hanno fatto altro che rendere ancor più vivo il significato del 14 luglio francese. Una giornata che, se interpretata nel nome di un salutare forte appello “alla libertà, all’uguaglianza ed alla fraternità”, non può e non potrà che appartenere ad ognuno di noi, sempre che si sia uomini e donne veramente liberi e autentici, soprattutto innanzi alla nostra coscienza.
“Allons enfants de la Patrie, le jour de gloire est arrivé!“