Il nostro buio
Non è che mi entusiasmasse più di tanto l’idea di partecipare ad una cena al buio. Ma faccio parte di questa associazione. Cerco di sostenere progetti che in parte conosco e in parte no e proprio per questo faccio quanto possibile per capire. Così ho prenotato.
Eravamo in tanti e tanti come me non sapevano cosa aspettarsi. Altri invece sì… e raccontavano, enfatizzando le loro esperienze. Altri ancora indugiavano e questo smorzava il mio già pacato entusiasmo.
La cena al buio funziona in questo modo. Entri in una stanza e dietro a te si chiude la porta. Lasci alle tue spalle il mondo della luce. Dopo qualche secondo di attesa, si spengono le luci nella piccola stanza e capisci che di fronte a te si apre un’altra porta dalla quale accedi ad un’altra sala, quella da pranzo, anch’essa completamente buia. Non c’è uno spiraglio di luce. Neppure un lumino. Sono vietati gli orologi ed ovviamente i cellulari. Ti accompagnano al tavolo persone non vedenti. Le stesse persone che ti servono la cena e che si prendono cura di te per tutta la serata. In caso di necessità ti prestano assistenza. Non conosci la sala, non hai la più pallida idea di dove sei e immediatamente ti rendi conto che in quel contesto sei tu quella che non vede, perché loro, i non vedenti, si muovono perfettamente tra tavoli e persone con un’abilità che sorprende. Quindi ti siedi, capisci come versarti l’acqua, curiosi con le mani tra posate, sottopiatti e quant’altro possono scoprire sul tavolo le tue dita. Ti senti toccare una spalla e una voce ti avvisa che la cena è servita. Una pietanza, poi un’altra, il dessert. Il pane, di nuovo l’acqua e ancora il vino, tutte cose che non arrivano da sole.
Ora verrebbe da chiedersi perché organizzare un evento di questo tipo. Verrebbe da chiedersi come mai le persone partecipano a queste iniziative. C’è chi lo fa per provare un’esperienza diversa, qualcun altro perché quella sera non aveva altro da fare. Altri ancora partecipano per meglio comprendere. Perché la disabilità inizia laddove non viene accetta.
L’aria è carica di elettricità. C’è chi parla a voce alta e a nulla vale spiegare che cecità non significa sordità. Sono palpabili le tante emozioni, le sensazioni diversamente provate. C’è chi si congratula con il cameriere perché è stato servito bene. Chi plaude al non vedente perché stato sensibile e gentile e perché ha aiutato una persona in un momento di difficoltà. Tante riflessioni su chi vede meglio: la visione parte dall’anima, dal cuore o è una pura questione di fisicità? Tante idee. Davvero tanto di tutto. Ma quando dal fondo della sala senti una voce che dice: beati voi che potete tornare, allora comprendi il limite dell’esperienza e il senso di ciò che può apparire come un gioco ma che gioco non è. Così si accende la luce. Il non vedente torna ad essere non vedente. Il vedente torna essere colui che guarda senza vedere.
E’ il limite di chi vive la sua vita come se tutti fossero come lui. Noi che abbiamo il dono della vista spesso non guardiamo. E non possiamo non renderci conto che questa, la nostra, è una delle tante forme che la disabilità assume.